Il matrimonio era, in genere, un affare “di famiglia” e, soprattutto nelle famiglie benestanti, i matrimoni erano “combinati” dai genitori.
Una persona anziana portava la ‘mbasciata (richiesta di matrimonio) del giovane ai genitori della ragazza i quali, dopo aver valutato la moralità del ragazzo, la famiglia di appartenenza e la condizione economico-sociale, davano la loro risposta positiva o negativa che fosse, ringraziando sempre per “l’onore” fatto alla loro figliola. Poi la decisione, se positiva, veniva comunicata alla ragazza alla quale non restava che accettare la scelta fatta per lei dai genitori.
Molte volte un giovane rifiutato poteva intestardirsi e, allora, provava a rovinare la reputazione della ragazza baciandola pubblicamente all’uscita della Messa, cioè sulle scale della Chiesa. In questo modo i genitori di lei erano costretti a dare il loro consenso al matrimonio “riparatore”.
Oggi queste cose possono sembrare assurde e farci sorridere, eppure, fino agli anni Cinquanta e oltre le cose nel nostro paese sono andate proprio così.
Certo, non mancavano innamoramenti al di fuori di questi schemi e “ fughe d’amore” per chi si era innamorato senza il consenso delle rispettive famiglie ma erano casi “particolari” che accadevano al di fuori delle regole stabilite e che facevano “parlare” il paese per lunghi periodi.
Il fidanzamento durava in genere due-tre anni e aveva le sue regole.
Il fidanzato si recava a casa della futura moglie solo in alcuni giorni stabiliti e poteva conversare con lei solo alla presenza dei genitori. Sempre Scipione Letizia annota “Due giovani che si amavano seriamente non potevano scambiarsi neppure un bacio sulla fronte sebbene si desiderassero a vicenda l'un l'altro” (pag.87)
Il matrimonio, come in tutte le epoche e in tutti i luoghi del mondo, era una festa importante anche nel nostro paese.
Poche spose, solo quelle appartenenti a famiglie agiate, potevano permettersi l’abito “nuovo”, cucito su misura per loro; in genere, gli abiti venivano presi in prestito da altre persone (e capitava che con un unico vestito si sposassero sette-otto ragazze) o affittati con piccole somme di denaro (si andava al Santuario di Pompei o anche dalle Suore M.SS. Preziosa a cui gli abiti venivano regalati per ex voto alla Madonna).
Era usanza che lo sposo regalasse “il velo” alla sposa e quest’ultima ricambiasse con la “camicia” delle nozze.
Il giorno del matrimonio la sposa si recava in Chiesa a piedi o in macchina ( in quegli anni c’era un signore che affittava l’auto per questa occasione) e veniva accompagnata all’altare dal padre o da un fratello maggiore o da uno zio in caso di morte del genitore.
All’uscita della Chiesa, gli invitati “buttavano” i confetti agli sposi. Familiari ed amici, infatti, si recavano al matrimonio con “cuoppi” (grossi coni di cartone) pieni di confetti che lanciavano alla coppia e che, immediatamente, venivano raccolti da frotte di bambini accorsi per l’occasione.
Dopo la festa religiosa, si andava tutti nella nuova casa degli sposi (che in genere era quella dei genitori dello sposo) dove c’era il ricevimento a base di dolci acquistati nelle pasticcerie: paste, roba secca, frascuttielli, tarallucci, vermuth e spumante. Ci si sedeva tutti in cerchio e si aspettava il giro, cioè che qualcuno passasse con i vassoi ad offrire quelle leccornie. Sembra che fosse buona norma per le donne (che non dovevano mostrarsi ingorde o golose in pubblico!) rifiutare al primo giro con la frase “Passate avanti”, per poi accettare la seconda e magari anche la terza volta! Alla fine della cerimonia poi, non si esitava ad infilare qualche dolcetto nella borsetta per avere qualcosa da sgranocchiare al ritorno a casa. Prima di andar via gli invitati salutavano gli sposi e ricevevano la bomboniera con i confetti; in genere si trattava di piccoli oggetti di ceramica.
La sposa stava seduta con un largo tovagliolo sul grembo dove gli invitati versavano i confetti rimasti nel loro “cuoppo”, cioè quelli che non avevano lanciato all’uscita della Chiesa. Quei confetti venivano conservati dalla giovane coppia e offerti a coloro che si recavano a trovarli nei giorni successivi alle nozze.
NOTA: Le notizie raccolte attraverso le interviste riguardano gli anni Cinquanta, quelli immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale anche se, certe usanze, si sono protratte per un ventennio e oltre.