Ruoli Femminili e maschili

C'era una netta separazione dei ruoli maschili e femminili.
Gli uomini, in genere, lavoravano fuori casa e svolgevano i loro mestieri di contadino, muratore, artigiano.
I professionisti, fino agli anni 60-70, erano pochissimi e si contavano sulla punta delle dita. 
In genere gli uomini conducevano una vita sobria e austera, dediti al lavoro e alla famiglia; per passatempo molti andavano a caccia e qualcuno nelle cantine dove si beveva il vino; qualcuno ricorda anche, che fin dagli anni “40, c'erano alcuni bar-caffè: uno a piazza Barone, un altro nella zona Villa, e due ‘ncopp ‘o pont, ed erano luoghi di raduno rigorosamente maschili.
Le donne, nella maggioranza dei casi, lavoravano in casa e si dedicavano alle faccende domestiche: pulivano, cucinavano, accudivano i figli e gli animali che venivano allevati in casa (galline, oche, maiali, conigli).
Se si trattava di famiglie di agricoltori, le donne aiutavano gli uomini nel momento del raccolto: trebbiatura del grano, sbrigliatura del mais (con le foglie essiccate del mais si riempiva il saccone che molti usavano come materasso) battitura dei fagioli, ecc. Inoltre conservavano i prodotti agricoli, ovvero facevano le “conserve“ che dovevano durare tutto l'anno (vedi LA NOSTRA CUCINA).
Poiché il nostro era un paese dove la coltivazione della canapa era molto estesa, la maggior parte  delle donne filava la canapa; altre avevano in casa il telaio con il quale si preparava il famoso “tuocco di tela” (metri e metri di tela avvolti su se stessi) da cui si ricavavano lenzuola, tovaglie da tavola, strofinacci, asciugamani per il corredo delle ragazze.
Tipica era la tessitura “ 'a paparielle ” che rendeva la tela resistentissima
Quasi tutte le donne sapevano lavorare la lana con i ferri per preparare calze e maglie. Le ragazze ricamavano per prepararsi il corredo.
Molte donne di famiglie meno abbienti, però, lavoravano nei campi come braccianti o nelle case benestanti come lavandaie e persone di servizio.

I lavori domestici erano faticosi; bisogna ricordare che non c’erano gli elettrodomestici che abbiamo oggi e tutto veniva fatto “con olio di gomito”.
Anche l’acqua per bere, lavarsi, cucinare o lavare piatti e oggetti, veniva attinta dai pozzi e questo richiedeva tempo ed energia. I panni erano lavati a mano, con acqua fredda, nei lavatoi che si trovavano all’aperto, nei cortili, in genere a fianco ai pozzi.
Se i panni colorati si lavavano spesso, quelli bianchi si accumulavano per mesi prima di fare il bucato “grosso”, detto “ 'a culata” che veniva effettuato solo pochissime volte in un anno e richiedeva grande lavoro.

‘A culata (intervista alla sig. S.P. -1928)
I panni bianchi (lenzuola, federe, asciugamani, tovaglie da tavola… ) venivano raccolti in grosse  ceste di vimini per interi mesi finché non si decideva di fare “a culata” e questo poteva avvenire ogni tre mesi, ogni sei mesi o una volta sola in un anno, dipendeva dai panni accumulati.
A culata durava tre giorni.
Il primo giorno si tirava l’acqua dal pozzo e si riempiva il lavatoio “ ’u chenter” dove i panni si riponevano in ammollo. Nel frattempo si metteva a bollire un grosso pentolone “caurer” pieno d’acqua dove, al momento del bollore, si gettava la cenere prelevata dai camini (veniva presa quella più bianca, priva di ogni impurità) e si lasciava bollire per qualche minuto formando la lisciva.
Intanto i panni in ammollo si insaponavano (il sapone che veniva utilizzato, il solo esistente, era di tipo molle) facendo due passate di sapone. I panni così lavati, venivano deposti in una grossa tinozza di legno e coperti con  uno strofinaccio di tela chiamato “cenneral” che faceva da filtro per la lisciva ed evitava che gli stessi si sporcassero di cenere. Con un secchio di rame o stagno la lisciva bollente veniva quindi versata sul bucato e si lasciava in ammollo un’intera notte.
Il secondo giorno veniva ripetuta l’intera operazione del giorno precedente.
Il terzo giorno, invece, i panni venivano energicamente sciacquati e risciacquati sempre " 'ndò cantar' ” riempito con l’acqua attinta dal pozzo e poi stesi ad asciugare su funi tese nei cortili.
Quando erano ancora umidi, due donne li “tiravano” da ambo i lati per evitare che diventassero troppo sgualciti e difficili da stirare.
I panni venivano poi stirati con ferri riscaldati sui carboni.
A volte tutto questo si faceva con meno panni e più spesso; in tal caso si parlava di “culatiell” ma il procedimento era lo stesso.
Questo è durato finchè non sono arrivate le lavatrici! Ovvero ben oltre la metà degli anni 60

Le donne svolgevano, comunque,  una vita ritirata. Uscivano solo la domenica per andare a messa o per commissioni importanti e le giovani erano sempre accompagnate dalle mamme o da parenti più anziane. Si temevano molto le “dicerie e maldicenze” sulla loro moralità che avrebbero pregiudicato la possibilità di sposarsi.
A tal proposito Scipione Letizia racconta: “Nel villaggio agricolo di Casal di Principe, nonostante che la grande maggioranza della popolazione conservasse una stretta moralità di costumi, quasi illibati, sia perché tale virtù era innata, ed era rinforzata dalla credenza religiosa, si sapeva che un peccato d'amore, una prova di infedeltà, di tradimento, coniugale, veniva ineluttabilmente punito con la morte. Le ragazze poi da marito paventavano, che anche un piccolo errore, un fidanzamento rotto bruscamente, per cause sconosciute e dicerie e maldicenze, potevano influire sulla loro permanenza allo stato nubile; nessuno avrebbe sposato una ragazza se non fosse stata sotto tutti i punti di vista illibata.”(pag.87)
C'era, però, a settembre, la festa della Madonna Preziosa e il famoso “struscio”, cioè la passeggiata per il corso, sotto le luminarie accese, indossando, vezzose, gli abiti nuovi cuciti per l'occasione. Era quella la circostanza adatta per essere notate ed ammirate dai giovanotti del paese.
Bisogna anche ricordare che, spesso, quell'abito era il solo che veniva cucito durante l'anno!
(VEDI: FESTA DELLA MADONNA PREZIOSA)