Per tutte le popolazioni che abitarono la Campania, il problema delle acque rappresentò sempre più una grave preoccupazione. Già gli imperatori romani si erano resi conto di questo grave inconveniente, ordinando la costruzione di grandi canali di scolo, detti “fosse subscivae”, come la “fossa graeca” e la “fossa neronis”. Anzi Nerone aveva progettato la costruzione di un grande canale navigabile, che potesse servire, oltre che per lo scolo delle acque sotterranee, a collegare il porto di Pozzuoli e quello di Ostia, seguendo il corso della via Domitiana. Purtroppo l’imperatore non riuscì a portare a termine l’opera iniziata e, dopo la sua morte, nel 62 d. C., tutto si fermò. Successivamente, per arrivare alla prima opera di bonifica dei Regi Lagni, corredata da calcoli e progetto, dobbiamo aspettare il 1539, nel periodo del Viceregno spagnolo. Iniziata da Don Pedro Toledo, su progetto dell’architetto Fontana, fu poi proseguita dal conte di Lenos.
Nei pressi di Casal di Principe e, precisamente verso il ponte Annecchino, il Clanio si divideva in due rami; abbandonato il primo tratto a Nord, si provvide a canalizzare le acque del Clanio nel ramo a Sud, rettificandone ed allargandone il corso, in modo tale che esso potesse giungere direttamente al mare, senza passare per il lago Patria. Dopo questi interventi passarono circa due secoli, prima che venisse ripresa la bonifica ad opera dei Borboni. I motivi che avevano fatto slittare di tanto tempo la realizzazione di quest’opera così importante, erano tanti e di genere diverso, per cui mi limiterò ad indicarne solo alcuni:
Venne, invece, preferito il metodo delle “idrovore”, che, assorbendo l’acqua ed asciugando i terreni, diede impulso all’agricoltura e all’allevamento del bestiame. All’uopo i consorzi di bonifica si riunirono nell’unico “Grande Consorzio del bacino inferiore del Volturno” e in seguito furono creati altri Enti come ad esempio l’Ente di sviluppo in Campania e la Cassa per il Mezzogiorno, con l’intento di realizzare importanti infrastrutture ma, soprattutto, di valorizzare il terreno strappato alla palude.
Nei pressi di Casal di Principe e, precisamente verso il ponte Annecchino, il Clanio si divideva in due rami; abbandonato il primo tratto a Nord, si provvide a canalizzare le acque del Clanio nel ramo a Sud, rettificandone ed allargandone il corso, in modo tale che esso potesse giungere direttamente al mare, senza passare per il lago Patria. Dopo questi interventi passarono circa due secoli, prima che venisse ripresa la bonifica ad opera dei Borboni. I motivi che avevano fatto slittare di tanto tempo la realizzazione di quest’opera così importante, erano tanti e di genere diverso, per cui mi limiterò ad indicarne solo alcuni:
- Il bacino del Clanio fu, per moltissimo tempo, fonte di enormi guadagni da parti di imprenditori e funzionari statali, spesso poco onesti, che ne curavano gli espurghi.
- I baroni, cioè i feudatari, mostrarono scarso interesse per una riqualificazione del territorio ed una sua destinazione agricola, preferendo lasciare incolte vastissime zone di terreno. Questo determinò lo spopolamento del territorio che, solo dopo la sistemazione dei “Lagni”, sarà in forza ripopolato.
- L’amministrazione dello Stato trascurava le opere di pubblica utilità, perché avrebbe dovuto chiedere, comunque, forme di finanziamento alle “Università”, ossia ai Comuni, che, com’è facilmente comprensibile, avrebbero reagito molto male difronte ad ulteriori imposte e balzelli, che sarebbero stati, inevitabilmente, loro imposti.
- C’erano, infine, dei privati e degli Enti, come la Curia vescovile di Aversa e quella di Capua, che vantavano diritti sul Lago di Patria e sul canale di Vena, i quali cedevano questi diritti ai pescatori in cambio di lauti affitti. Malgrado sorgessero spesso conflitti tra la Curia di Aversa e quella di Capua, entrambe erano impegnate a mantenere “lo status quo”, cioè le cose come stavano, per paura di perdere le loro prerogative.
Venne, invece, preferito il metodo delle “idrovore”, che, assorbendo l’acqua ed asciugando i terreni, diede impulso all’agricoltura e all’allevamento del bestiame. All’uopo i consorzi di bonifica si riunirono nell’unico “Grande Consorzio del bacino inferiore del Volturno” e in seguito furono creati altri Enti come ad esempio l’Ente di sviluppo in Campania e la Cassa per il Mezzogiorno, con l’intento di realizzare importanti infrastrutture ma, soprattutto, di valorizzare il terreno strappato alla palude.