Bernardino Diana (o Bernardo come tutti lo chiamavano) era nato a Casal di Principe nel 1921. Aveva 19 anni quando l’Italia entrò nel II conflitto mondiale e, come tanti giovani del nostro paese, partì per il fronte (foto 4 e 10)
Della guerra non parlava mai spontaneamente, un incubo da scacciare… Ma, oggetti, situazioni, immagini facevano riaffiorare i ricordi e allora raccontava.
I datteri. Gli piacevano molto e quando li mangiava diceva: “Questi ce li portavano in Africa gli abitanti del posto. Avevano “pietà di noi”, soldati italiani, che morivamo di fame. Avevamo le scarpe rotte, poche armi e munizioni. Ci avevano mandato al fronte in condizioni miserabili… La potevamo mai vincere quella guerra? C’erano i tedeschi, invece, ben armati ed equipaggiati. Erano nostri alleati ma ci disprezzavano”. (foto 11 e 12)
Aveva fatto la guerra in Africa, Bernardino, partecipando alla storica battaglia di El Alamein dove si erano fronteggiate le truppe alleate del generale Montgomery e quelle italo-tedesche del generale Rommel.
In quell’epico scontro, combattuto dal 23 ottobre al 5 novembre 1942, era stato fatto prigioniero dagli inglesi, il 5 novembre. (foto 2953). Trasportato a Suez , vi rimase fino al 2 febbraio del “43 quando fu trasferito a Bassora, in Iraq.
Ricordava quella città! le strade, i monumenti, gli arabi, il loro abbigliamento, i modi di fare… (foto 9)
Gli inglesi. Ogni volta che si parlava di loro, per un qualche motivo, non mancavano mai espressioni di apprezzamento. ”Sono un popolo civile. Ci trattavano bene, benchè prigionieri.”
Ma lui, con gli inglesi, aveva avuto un rapporto particolare. Dopo l’armistizio che l’Italia aveva firmato con gli alleati l’8 settembre del 1943, era diventato cooperatore delle truppe alleate col ruolo di “infermiere”. (foto 2945) Aveva lavorato con il maggiore medico A. C. Mackenzie, di Edimburgo, direttore del reparto di malattie veneree, con il quale aveva stretto amicizia.
Il maggiore, oltre a fare le analisi, le iniezioni e le flebo, gli aveva insegnato anche un po’ di inglese e a bere il tè, abitudine che aveva conservato per tutta la vita; lo preferiva, infatti, al caffè, retaggio di quel tempo e di quell’esperienza .
Bernardo aveva raccontato all’ufficiale della sua terra, del sole di Napoli; gli aveva cantato le nostre canzoni e lui, il Maggiore, le aveva imparate, insieme al nostro dialetto.
A guerra finita, al momento dei saluti, gli furono rilasciati attestati di stima e apprezzamento per il lavoro svolto che avrebbero potuto essergli utili per trovare un lavoro una volta tornato in patria. (foto 6 e 7) (foto 2954 e 2955)
Si erano anche scambiati gli indirizzi e la promessa di rivedersi. Rientrati in patria, era iniziata la corrispondenza in una strana lingua: un misto di italiano, inglese e dialetto casalese.
Nel 1948 il Maggiore venne a Casal di Principe, ospite dell’ex soldato italiano. Voleva vedere Napoli e i posti che conosceva solo dai racconti. Voleva anche proporgli di trasferirsi in Inghilterra. Con le sue credenziali non sarebbe stato difficile trovare lavoro in un ospedale britannico.
Bernardo, però, si era fidanzato ed era prossimo alle nozze. Provava per il Maggiore Mackenzie grande stima, ma non se la sentiva di lasciare la sua terra, soprattutto ora che stava per formarsi una famiglia.
Avevano continuato a scriversi, ma poi, con gli anni, i rapporti erano andati scemando.
Il ricordo no. Quello era rimasto impresso nella mente e Bernardo aveva continuato a parlarne, fino alla morte sopraggiunta nel 1984.
Nel 2010 una nipote, trasferitasi in Inghilterra dopo aver sposato un cittadino britannico, aveva fatto ricerche sul maggiore Mackenzie, scoprendo che anche lui era deceduto qualche anno prima.
Avrebbe voluto dirgli che era la nipote di quel soldato italiano conosciuto durante il secondo conflitto mondiale di cui era divenuto amico e che, per uno strano caso del destino, in Inghilterra si era trasferita lei. E avrebbe voluto dirgli, anche, che il nonno non lo aveva mai dimenticato, perché quando gli uomini sanno restare tali, anche nelle situazioni più tragiche e sofferte, come sugli avversi fronti di guerra, parlando lingue diverse e provenendo da nazioni distanti, possono sbocciare i sentimenti più belli, quelli, ovvero, che rendono la vita degna di essere vissuta.
(foto di Bassora scattate dai commilitoni di Bernardino e da lui gelosamente conservate)