Giovanni Motti - ALBANOVA, Alba di sangue
Muoio per loro: disse il brigadiere
Storie di prima, durante e dopo
DIFENDIAMO LA BANDIERA.
Bisognava difendere la bandiera della “Pasubio” dagli Anglo Americani prima dell’otto settembre 1943. In seguito, la storia si ribaltava ed il nemico era il Tedesco. Ci fu la carneficina; altri furono salvati da chi disse: “Muoio per loro”. Ci fu il momento dei collaborazionisti: uomini e donne. Poi ci furono fra gli altri i Marocchini, la Legione Straniera. Un Inglese uccise e fu processato. “Scassacarrette”, il “Quartaiuolo”, sparò ai Tedeschi e scappò. La vendetta spuntò. E’ questo un “Life motiv” che si trova quasi in ogni città d’Italia, almeno nel sud, in quei giorni grigi. Ma ogni città ebbe purtroppo la sua variante, per cui non v’è monotonia, ma certamente nemmeno allegria in quello che diciamo. Di questi bisogni anche la storia ne ha.
LA BANDIERA DELLA PASUBIO.
A parlare è Don Ubaldo Mastrominico, veterano monsignore di rango nella diocesi di Aversa, commendatore della Repubblica.
“Prima dell’8 settembre – dice il prelato – mi fu detto di nascondere agli Anglo Americani la bandiera del 79° Reggimento di Fanteria della divisione Pasubio”. La quale si era messa di stanza anche nelle terre di Albanova, come stava a Mondragone, a Grazzanise ecc. La bandiera fu messa in un tubo di alluminio e fu sotterrata in casa Mastrominico. Doveva essere murata nella chiesa dell’Annunziata ma non fu possibile.
ALBANOVA: UNA E TRINA.
Albanova, che allora comprendeva le attuali cittadine di Casal di Principe, Casapesenna e San Cipriano, luogo della rappresaglia nazista, ebbe i suoi bombardamenti dagli “Spitfire” ed ebbe i suoi morti per bombe. Bombardato fu anche il cimitero.
IL NEMICO CAMBIA.
Dopo l’otto settembre, come dicevamo, il nemico divenne il Tedesco e la vita cambiò faccia. I Nazisti si piazzarono a palazzo Caterino, ora palazzo Della Gatta in via Roma dell’attuale San Cipriano d’Aversa, dove una volta c’era il comando del 79mo Reggimento “Pasubio”. Quando tale comando fu accerchiato dai carrarmati tedeschi, si potè nascondere il vessillo ai germanici, mentre gli Anglo americani divennero gli amici che si facevano attendere come liberatori.
Il cappellano del reggimento don Gaetano D’Auria fece nascondere dentro un muro carteggi, cifrari, armi ed altro.
Il tutto, bandiera compresa, sarebbe statoGiovanni Motti - ALBANOVA, Alba di sangue
Muoio per loro: disse il brigadiere
Storie di prima, durante e dopo
IL COMANDO TEDESCO.
Anche ad Albanova si acquartierò parte della Divisione “Hermann Goering”; si era sparpagliata a “sciame d’api” a nord del Napoletano, anzi proprio nell’Agro aversano.
Fra gli alti e tozzi pioppi che ancora, in parte, si coniugano con la migliore uva asprinia della zona, presso la chiesetta dell’ ”Incoronata”, ad ovest di San Cipriano e di Albanova tutta, al di là della cupa che li separava dalla città, erano attendate le truppe naziste. Altri Tedeschi si nascondevano in una cava di tufo ad est della stessa San Cipriano.
Intanto la Divisione “Pasubio” si era sbandata. Molti soldati furono catturati e deportati, come ricorda Scipione Letizia nel suo libro “Casal di Principe: un paese fuorilegge”.
Il comandante Mazzocchi del 79mo restò nascosto ad Albanova. La cittadina, intanto, per suo naturale trasporto verso il forestiero, come ci fa notare il senatore notaio Mattia Coppola, accoglieva sfollati da Mondragone, Carinola, Castel Volturno ecc.
LA GUARDIA SPIAVA.
Incominciarono come dappertutto i saccheggiamenti, i sequestri, le rapine da parte dei Tedeschi.
A tale proposito eccovi la testimonianza a noi fatta e poi rilasciata anche alla stampa, dall’attuale servo di Dio don Salvatore Vitale a Casapesenna: “Una guardia comunale – ci dice don Salvatore – accompagnava due soldati Tedeschi, dando la voce: “Raccolta delle uova! Galline!” Anche lo storico Leopoldo Santagata nel suo libro su Casapesenna parla di un vigile collaborazionista; non ne fa il nome, perché lo giudica un malcapitato e di questi ad Albanova ce ne furono molti. Il professore Nicola Ardente riferisce che i Tedeschi, in contrada “U Perillo”, avevano piazzato un carrarmato che, quando doveva far fuoco, di volta in volta veniva spostato in più parti per non far capire al nemico che vi fosse un unico carrarmato a contrastarlo. Questo cingolato fu poi distrutto dai Casapesennesi, in un momento particolare in cui i Tedeschi avevano per ragioni “emergenziali” abbandonato detto cingolato.
LE BOMBE DELLA PROVVIDENZA.
Ciò stava provocando la deportazione di uomini ed il pericolo della ritorsione mortale. Il tutto per fortuna non avvenne grazie ad un provvidenziale bombardamento. Questo episodio è capitato il 23 settembre 1943.
LE PAGLIARELLE QUELLA DOMENICA.
Ma veniamo ai fatti tragici accaduti in via Diana a San Cipriano d’Aversa, presso una traversa di via Fiume, in zona “Pagliarelle”. Ci conduce sul posto l’imprenditore 61enne Claudio Diana il quale, da giovanetto, all’età di 15 anni, dopo l’eccidio si recò sul luogo della strage. “Sentii dalla mia casa di San Cipriano gli spari. – egli dice – Con la curiosità e l’inavvedutezza della giovane età mi recai sul posto della carneficina. Vidi gente ferita che gemeva accanto ai corpi dei propri familiari uccisi. Quella scena mi è rimasta stampata nella memoria e durerà sino alla fine dei miei giorni. Ma voglio accompagnarvi anche a casa di qualche scampato dalla tragedia”.
VIA DIANA E VIA FIUME.
Raggiungiamo via Fiume e la piccola via Diana da non confondere con la lunga via Michelangelo Diana. Qui troviamo un certo Caterino e la moglie. “Tutto è iniziato la sera di sabato, 19 settembre del 1943 – dicono i due – Due tedeschi insieme a due donne collaborazioniste, certamente italiane, forse della zona, entrarono nella nostra casa, chiedendo uova: “Non ci sono uova in questa casa”. – fu loro detto – “Andate in un’altra casa” e ne fu indicata un’altra.
A questo punto un certo Angelo Chiarolanza, un intagliatore meglio conosciuto come “scassa carrette”, che abitava nella vicinissima via “delle rose” sparò verso il largo di via Fiume, là dove abitano attualmente i fratelli Noviello.
STRAGE PER RIPICCA.
Un Tedesco fu ferito ad una gamba. Non si sa se un altro soldato fu colpito. “Venite domani ed avrete le uova, quando le galline le avranno fatte”, gridavano le persone anziane del posto, prevedendo la vendetta. Erano Giuseppina Marra, Carmine Bianca, Salvatore Baldascino, la moglie Rosaria Cristiano ed altri. L’indomani mattina presto, verso le ore tre, i Tedeschi non si fecero attendere. Si dice che, addirittura, in quei vicoli stretti arrivassero con un carrarmato, col quale sfondarono la porta di Salvatore Baldascino. Fu fatto fuoco di mitra, bombe a mano e mitragliatrici: un vero inferno.
I NOMI DELLE VITTIME.
Gli uccisi furono: Peppe è Chiariello, Salvatore Baldascino, Maria Giuseppa Salzillo di 36 anni, Domenico Cirillo di 42 anni e la moglie Abatiello Rosa, anche di 42 anni. I feriti furono molti; Scipione ne ricorda 18. Ne indichiamo alcuni: Alfonso Caterino di 40 anni, Maddalena Caterino di 13 anni, Anna Caterino di 4 anni, Loreta Caterino di 18 mesi. I Caterino fanno parte della stessa famiglia. I Tedeschi spararono nel cortile, accanto al basso dove i Caterino dormivano; Cirillo cercò di nascondersi sotto il camino, ma fu preso per i capelli ed ammazzato. I suoi figli Raffaele ed Antonio furono invece feriti. Prima degli spari fu sentita la voce di un traditore del posto: “Cavaliere, scendi! Ti vuole il Comando!”. Si trattava di qualcuno del posto che tradiva i compaesani, probabilmente dietro compenso, aiutando i Tedeschi. Pare che fra questi vi fossero ancora delle guardie municipali. I feriti furono trasportati in vari ospedali, come quelli di Aversa, Giugliano, Caserta ecc. Ma poi in quel giorno di domenica, molti cittadini furono trascinati nel campo dell’Incoronata, così chiamato perché tuttora ivi è la Chiesa dell’Incoronata appartenente alla famiglia Caterino.
A questo punto parla SCIPIONE LETIZIA, il medico che dopo il massacro di via Diana si era recato sul posto insieme al dottore Giovanni Tranchese, al maresciallo dei CC, ed al parroco Don Michele Natale.
Con Scipione Letizia, morto qualche mese prima di scrivere queste righe, avemmo modo di parlare per telefono nella sua casa di Napoli, dove da ultranovantenne veniva in casa con una governante ed andava a far visita al figlio in paese una volta alla settimana, nonostante la tarda età.
DOVE STAVA IL CORAGGIO.
Il Letizia ci conferma quanto sopra ed aggiunge: “Molti ci dicono che durante l’occupazione nazista del ’43 ad Albanova non abbiamo mostrato il coraggio che di solito abbiamo nell’ucciderci fra noi. Ci portano l’esempio della gente di Acerra che fu dura anche contro i Tedeschi, sbarrando loro la strada della ritirata e facendosi uccidere in circa 200”. In realtà ad Albanova vi erano tutte le armi appartenenti poco prima alla Pasubio. Si poteva resistere attaccando i Tedeschi, ma poi? Per fortuna ci fu un buon Podestà che riuscì a barcamenarsi, cercando di vettovagliare i Tedeschi. “Per non farci aggredire – continua il Letizia . ed è questa, la ragione per cui io non chiamerei collaborazionisti quelle guardie che, forse invitate dallo stesso borgomastro, incitavano la gente a dar da mangiare ai Tedeschi per tenerli buoni”. Il borgomastro dalle iniziali E.G. è ritenuto dallo stesso Letizia una persona onesta ed equilibrata. “Se fu possibile evitare guai maggiori lo si deve alla sua abilità e saggezza; egli doveva provvedere al vettovagliamento del piccolo reparto di Tedeschi che presidiavano il paese”.
CHI TOCCO’ LE DONNE
Il Letizia aggiunge nel suo libro: “I Tedeschi oltre alle requisizioni di animali giovani da macello, come vitelli, maialetti, con il loro comportamento di vandali, incutevano il terrore nella popolazione civile. Buon per loro che non stuprarono le nostre donne. La loro frigidità dei paesi nordici è in contrasto con la virilità del sud. Se l’avessero fatto, sono sicuro che la popolazione civile sarebbe insorta come un sol’uomo e li avrebbe cacciati e massacrati, anche a tema di gravissime rappresaglie”.
Purtroppo nel vicino Borgo di Aversa ed in Villa Literno, a via Feniculensa, si ebbero due violenze carnali da parte dei Tedeschi, anche se Scipione Letizia nell’intervista ci riferiva che questi erano troppo impegnati a fare la guerra per pensare alle donne. Ma chi ne fece di più furono gli Alleati, anzi i nord-africani. “Con grande costernazione – dice il Letizia – nel paese si sparse la voce che mentre alcuni reparti tedeschi si ritiravano sui Regi Lagni ed in altri in direzione di Castelvolturno, erano state rapite due belle giovani ed erano state condotte al loro seguito nella ritirata. Fortunatamente e con grande gioia di tutti furono subito liberate. Ciò avvenne il 3 ottobre. Il giorno seguente le truppe alleate erano ad Albanova”. Ma con la venuta di queste truppe non finirono i guai. Il comando militare francese, ad esempio, aveva la sua caserma nel palazzo dell’ex Podestà L.D., sito al Corso Umberto. Un po’ dappertutto avevano messo casa le truppe ed i reparti. Sebbene la disciplina dell’Esercito fosse dura, non era facile tenere soldati africani in riga. Questa truppa di colore ogni tanto eccedeva. Una volta un beduino si recò in una piccola casa alla periferia di Casapesenna, con l’intenzione di avere un rapporto amoroso con una donna. Trovò invece una povera bambina di sei anni che dormiva nel lettino. Questa belva umana, preso dalla libidine, osò deflorare la piccola creatura, la quale fu portata d’urgenza in ospedale. Casi di violenza dei beduini si registravano un po’ dappertutto, specie nelle campagne. Ad un padre fu sottratta una figlia che attendeva col genitore pacificamente al lavoro. Furono aggrediti da tre soldati marocchini. Il padre fu bastonato e alla ragazza adagiata sul ciglio di un fosso, dopo essere stata denudata, fu praticata violenza per oltre un’ora, alla presenza del padre che dovette assistere impotente. Sempre il Letizia visitò la ragazza, redasse il relativo referto di violenza carnale che fu consegnato ai Carabinieri senza risultato positivo. La giovinetta morì dal doloro dopo alcuni mesi.
BRIGADIERE ALLA SALVO D’ACQUISTO
Il Letizia grosso modo conferma la dinamica dell’eccidio ed in particolar modo il fatto che furono prese una decina di persone fra cui l’ingegnere G.C.. Questi furono portati nell’accampamento dell’incoronata per essere fucilati. Qui, e fu questa forse la fortuna, fu trovato un ufficiale austriaco invece che tedesco, il quale fingeva di minacciare seriamente l’uccisione degli ostaggi, come ormai usavano fare i Tedeschi fra insulti e minacce. Il Letizia mette in risalto l’abnegazione e l’eroismo di un carabiniere che sarebbe stato il vice-brigadiere della locale stazione, il quale chiese di morire al posto dei dieci malcapitati. Ma a questo punto per dovere di cronaca dobbiamo dire di avere intervistato Angelo Chiarolanza, il quartaiuolo, detto anche “scassa carrette”, autore dell’attentato ai Tedeschi in via Fiume. Questi, ammettendo i suoi fatti e misfatti, ci tenne a precisare che a chiedere la salvezza dei dieci ostaggi fu addirittura anche un collaborazionista. Questa tesi ci viene oggi confermata anche dal dott. Renato Natale, il quale ultimamente sul periodico di Carinaro “Lo Spettro” ha scritto della storia del suo paese nel ’43.
L’UMANISSIMO AUSTRIACO.
Comunque, a nostro avviso, chiunque abbia interceduto per i dieci da uccidere vi è riuscito solo perché dall’altra parte c’era umanissimo ufficiale austriaco e non tedesco, il quale per non fare accorgere delle sue finzioni verso gli italiani da destinare a morte, fece anche passare davanti a questi il plotone di esecuzione. Ma poi, con un magistrale colpo di teatro, blaterando, imprecando, minacciando cacciò tutti via, liberando di fatto i condannati, mentre fino a poco prima insisteva nel ripetere al parroco, al Letizia e ad altri che le persone uccise sino a quel momento alle “Pagliarelle” non riuscivano a soddisfare il loro diritto di rappresaglia sulla gente del posto.
L’ANGELO DEI DERELITTI.
Scipione Letizia venne ricordato in quel tempo come l’angelo dei derelitti; con una cassetta di medicazione affrontò la tragedia fra le catapecchie di via Fiume e la piccola via Diana. Anche il Letizia ricorda come, il 4 ottobre, pochi minuti prima che entrassero gli Alleati, il solito cannone tedesco, con la solita strategia efficace, veniva spostato quà e là, a destra ed a manca, per far capire al nemico che i Tedeschi avessero un potenziale bellico superiore alle previsioni. Molte case di civili, per questa paura, furono colpite dalle cannonate degli Alleati, prima del 4 ottobre.
LA RITIRATA.
I Tedeschi, all’ultimo momento, come erano soliti fare, si ritirarono per l’attuale via Vaticale, per via Capua, facendo saltare il ponte di Ponte Annecchino sui Regi Lagni. Altri Tedeschi si ritirarono per Cancello Arnone e per Castel Volturno nonché per Grazzanise, dove infuriò la battaglia fra i Tedeschi ed in particolar modo fra i cosiddetti “Topi del Deserto” che poi occuparono Mondragone e la postazione – vedetta di monte Cicoli. Su Ponte Annecchino due giovani, provenienti da Grazzanise per incontrare gli Alleati, furono uccisi dai Tedeschi. Albanova divenne così una retrovia del fronte e brulicava di soldati di ogni razza. Oltre ai Marocchini ed ai Beduini già citati, si ricorda anche la presenza fra gli altri di canadesi e soprattutto della “Legione straniera”, la quale venne in contrasto con la gente del posto.
PALAZZO CATERINO
Parla Don Bruno Mazzitelli di 64 anni, da San Cipriano d’Aversa. Il prelato ricorda quando due carrarmati “Tigre” raggiunsero palazzo Caterino, ora palazzo Della Gatta, fermandosi nella piazza della chiesa madre in San Cipriano dove una volta, come dicevamo, vi era la “Pasubio”. Il Martinelli era un seminarista di 15 anni e si trovava appunto davanti alla chiesa madre della Santa Croce in via Roma. Vide due ufficiali uscire dalle due torrette dei carrarmati e recarsi a palazzo Caterino. Dopo poco il seminarista vide gli ufficiali tedeschi rientrare nei carrarmati e dare l’ordine di sparare in alto. Poi vide anche che dei soldati intruppati, provenienti da via Andrea Diana, depositavano le armi, così come le depositarono i civili in seguito a manifesti affissi sui muri.
Presenti alla consegna delle armi, i Tedeschi vollero anche i carabinieri, così come avvenne ad Aversa, dove la stazione dei carabinieri fu addirittura stazione del deposito di armi.
A proposito del sequestro dei soldati della “Pasubio” da parte dei Tedeschi ci gioviamo ancora della testimonianza scritta di Scipione Letizia. Testimonianza che recita nel seguente modo: “Come fu triste per me assistere allo spettacolo del passaggio, per il corso di Casal di Principe, di colonne di nostri soldati, disarmati, silenziosi e tristi anche loro, che marciavano lentamente come si fa ad un funerale, guidati da graduati teutonici”. “Perché non fecero resistenza? Perché si fecero disarmare nonostante fossero superiori per numero ed armamento? “ Non vollero sacrificarsi inutilmente, come molti grossi reparti a Cefalù ed in altre zone”. “A che sarebbe servito il loro martirologio? Li vedevo passare, muti, a piedi, col capo chino, con tutto il loro carriaggio, e certamente con la morte nel cuore, per la grande umiliazione subita”.
DIFESE LA CAVALLA.
Per quando riguarda l’uccisione del contadino Francesco Cantiello a San Cipriano d’Aversa presso la sua casa in via Roma, pare che le cose siano andate nel seguente modo: I Tedeschi, poco prima di lasciare Albanova andarono nella masseria del Cantiello nei pressi della madonna di Briano e cercarono di prendere una cavalla. Il contadino, giustamente geloso del suo animale, dall’interno della fattoria puntò le armi contro i tedeschi, intimandogli di lasciare la bestia e di andar via. Cosa che i soldati germanici fecero.
A questo punto avvenne la vergognosa spiata senza scusanti di qualche compaesano, il quale disse ai Tedeschi dove abitava il Cantiello. Gli uomini di Hitler raggiunsero così la casa del Cantiello e lo ammazzarono. Pare che prima di farlo fuori i soldatacci chiesero chi era il vero ed unico responsabile di aver puntato le armi contro di loro nella masseria della Madonna di Briano. Il Cantiello per evitare che si massacrasse tutta la famiglia si costituì e fu ucciso. Questo fatto ultimo di sangue, fatto versare in Albanova dai Tedeschi, avvenne pochi momenti prima che arrivassero i Liberatori.
Pare che gli autori di questa vile spiata, a guerra finita, non furono né condannati, né addirittura identificati, mentre i loro nomi, sembra fossero sulla bocca di tutti.
LO SCASSACARRETTE.
Nel novembre del 1992, poco prima che il Quartaiuolo Angelo Chiarolanza, detto “Lo Scassacarrette” morisse all’età di 81 anni, siamo andati ad intervistarlo. La nuora Rosetta Infante, moglie del figlio Raffaele con domicilio nella stessa San Cipriano, in via Michelangelo Diana 27, ci aveva avvertito di fare presto. Noi, essendo sera, credevamo che la donna ci premurasse di andare quel giorno stesso per non far fare più notte. Invece il suocero stava male e la donna perciò voleva affrettare l’incontro, prima che fosse troppo tardi. Purtroppo di interviste in estremis di questo tipo, per questo lavoro ne abbiamo dovuto fare molte. Altre volte non siamo giunti in tempo.
Con Angelo Chiarolanza così si svolse l’incontro:
DOMANDA: “Lei signor Chiarolanza fu accusato di aver provocato la ritorsione dei Tedeschi per aver incautamente sparato contro di loro”.
RISPOSTA: “Avevo trent’anni e per mia natura non ero abituato a subire soprusi. Immaginate che una volta fui preso sotto braccio da due carabinieri per essere portato in caserma. Non sopportai quell’atto di forza, sia pure legale; diedi uno strattone ai militi e me ne scappai. Figuratevi se potevo sopportare i Tedeschi che con prepotenza venivano a prendersi quello che passava loro per la testa”.
DOMANDA: “Che cosa ricorda di quel momento?”
RISPOSTA: “Ricordo che la strada era piena di fossi, quasi come trincee. Ricordo anche che un Tedesco stava per caderci dentro. Con loro c’erano degli italiani: uomini e donne collaborazionisti. Forse erano del luogo”.
DOMANDA: “Cosa faceste dopo lo sparo”.
RISPOSTA: “Scappai via; andai prima a Quarto mio paese di nascita, poi partecipai presso il ponte di Casanova alla battaglia contro i Tedeschi”.
DOMANDA: “Ma fu per poco, perché il primo ottobre già entrarono nel porto di Napoli”.
RISPOSTA: “Niente affatto; dalla sera del 20 settembre e per dieci giorni mi aggregai ai combattenti napoletani: Le Quattro Giornate andarono dal 27 al 30 settembre ed io ero lì; il primo ottobre, appunto, arrivarono gli Alleati ed io andai con loro; misi la loro divisa, li seguii e attraverso Marano, Mugnano ed il Quadrivio d’Ischitella raggiunsi il mio paese, dove a primo acchito non fui riconosciuto con l’uniforme addosso. Mi riconobbe una donna vedova di un mio amico che in quell’alba del 20 settembre 43 era stato massacrato dai Tedeschi. Ho provveduto per lungo tempo al mantenimento di questa donna e dei suoi figli rimasti orfani, grazie al mio proficuo lavoro di costruttore di calessi, per cui scherzosamente venni chiamato “Scassacarrette”.
DOMANDA: “Avete saputo che il giorno 20 settembre un brigadiere dei Carabinieri voleva morire al posto di dieci ostaggi?”
RISPOSTA: “Lo so, ma mi risulta anche che un fascista intercedette per loro e ci riuscì”. solennemente poi riconsegnato allo Stato italiano, a liberazione avvenuta.