IL NOVECENTO
I PRIMI DECENNI E IL PERIODO FASCISTA
Agli inizi del Novecento la situazione scolastica nel paese restava molto carente.
Non esistevano le scuole superiori (per scuole superiori, in quel periodo, si intendevano la terza, la quarta e la quinta classe elementare) obbligatorie per i Comuni superiori a 4000 abitanti; il nostro Comune ne contava 5.428.
Il 25 giugno 1906, il Prefetto fu costretto ad ordinare al Sindaco di istituire due scuole di grado superiore nonostante le rimostranze di quest’ultimo che continuava ad insistere di non avere fondi per pagare altri due maestri. Un problema che verrà risolto solo nel 1911 con la legge Daneo-Credaro che rese la scuola un servizio statale ponendo a carico dello stato il pagamento degli stipendi dei maestri elementari.
Se le casse del Comune non potevano permettersi di pagare gli insegnanti, come avrebbero potuto costruire aule scolastiche e dotarle di attrezzature? Ecco quindi che si continuavano ad adibire a scuole locali vecchi e igienicamente inadatti con attrezzature fatiscenti.
Situazione che continuò fino ed anche nel periodo fascista, in cui il numero degli alunni crebbe a dismisura ma perdurò l’assenteismo anche se il regime, per ovviare a questi casi, aveva introdotto, nel T.U. della legislazione scolastica ( art. 185 n. 577) una multa per i genitori che non mandavano i figli a scuola; le scuole continuarono ad essere ubicate in locali vecchi, in stanze che, igienicamente, non erano rispondenti alle esigenze.
Sappiamo che, nel 1932, il direttore didattico Troise Egidio si rivolgeva alle autorità superiori, lamentandosi che vi erano aule con 60 alunni e con una quindicina di banchi a due posti, che mancava persino inchiostro e gesso, cioè gli oggetti indispensabili all'insegnamento.
In quell'anno la popolazione di Albanova ( siamo nel periodo della fusione dei Comuni : Casal di Principe, San Cipriano d’ Aversa e Casapesenna) su 17.000 abitanti contava oltre mille alunni. Dopo questa data ci sono notizie di classi stracolme, fino a 70 alunni ! Questi numeri portavano spesso alla diffusione di epidemie e contagi ; difatti, nel 1934, fu ritenuta urgente la chiusura temporanea delle scuole perché in paese si era diffusa la scarlattina.
II commissario prefettizio, avv. Pianese, sanificò il locale adibito a scuola, situato in quel periodo nel palazzo del Comune e fece costruire una scala di accesso esterna ( sul retro) per evitare il grave inconveniente che per la stessa scala salissero alunni ed impiegati comunali.
La scuola, in quegli anni, fu dotata anche di una “radio rurale” perché gli alunni potessero ascoltare i discorsi del Duce o seguire l'andamento delle « parate » che si susseguivano di frequente. Un’epoca particolare, in cui la pedagogia fu asservita al fine politico e fu bandita ogni forma di critica e di libero pensiero; infatti, nelle scuole furono introdotti libri di testo “unici” in cui la parola del Duce era il “Verbo” a cui bisognava obbedire senza discutere.
Le testimonianze raccolte confermano i dati ufficiali.
La signora S.P. (nata nel 1928) ricorda che a Casal di Principe, in quegli anni, c’era una scuola elementare statale in un cortile privato (casa Iavarazzo- sul corso Umberto I , nei pressi di Piazza Villa) dove lei andava . Dal cortile privato la scuola fu trasferita poi sul Municipio, al 2° piano del Palazzo, a cui si accedeva attraverso una scala esterna che si trovava sul retro e che adesso non c’è più.
Gli insegnanti erano Agnese Coppola e Salvatore Caterino.
Il signor C.V. ricorda anche altri insegnanti : Iovine Iolanda, il sacerdote don Paolo e sostiene che le classi maschili erano numerose e indisciplinate e gli insegnanti molto rigidi nei loro metodi didattici. Afferma che spesso, in giorno di sabato, vestiti da “balilla “i maschi e da “piccole italiane” le femmine, gli alunni venivano fatti sfilare per il corso. A guidare queste parate, c’ erano i signori Costantino Puocci e Mimì Schiavone.
A questo stesso periodo risale una testimonianza intessuta di ricordi personali, ma di tutt’altro genere. Da ragazza sentivo spesso raccontare in casa un episodio in cui erano più che evidenti i metodi rigidi e severi della scuola dell’epoca. L’ordine e la disciplina erano gli assi portanti dell’educazione e dell’istruzione e chi transigeva era punito con pene corporali: le classiche “vergate” in mezzo alle mani o, peggio, sul corpo.
Si raccontava di due ragazzini di circa sette/otto anni che andavano a scuola “ ‘o Palazzo” (così veniva chiamato il Comune) malvolentieri perché, per non aver fatto i compiti o per aver fatto chiasso, venivano quotidianamente picchiati dall’insegnante.
Un giorno le botte furono davvero troppe, su tutto il corpo. Stavolta i due monelli decisero di reagire; infatti, il giorno dopo anziché andare a scuola, raccolsero pietre in strada e le misero in cartella. Nel momento in cui la maestra uscì dalla scuola gliele tirarono. Quest’ultima, imbestialita, si recò dai carabinieri a denunciarli e a chiedere il loro arresto. I bambini furono chiamati in caserma e vi si recarono accompagnati dal padre che, fino a quel momento, era rimasto all’oscuro di tutto. I carabinieri iniziarono, con tono burbero, a minacciare padre e figli, ma quando il genitore svestì i bambini e mostrò i piccoli corpi violacei per i tanti, troppo lividi, i tutori dell’ordine ammutolirono scuotendo la testa.
Quel genitore avrebbe detto al maresciallo: “I miei figli hanno sbagliato ma, signor maresciallo, vi sembra questo il modo di trattare i bambini, di istruirli ed educarli ?”.
E, così, si preferì fare a meno di quell’istruzione “violenta” e i due piccoli a scuola non andarono più. Impararono a leggere, scrivere e far di conto durante il periodo del servizio militare.